mercoledì 28 settembre 2016

Il guerriero e la ragazza

 
La poesia giapponese, avendo come seme il cuore umano, 
si realizza in migliaia di foglie di parole. [...] 
La poesia, senza ricorrere alla forza, muove il cielo e la terra, 
commuove perfino gli invisibili spiriti e divinità, 
armonizza anche il rapporto tra l'uomo e la donna, 
pacifica pure l'anima del guerriero feroce.

Kino Tsurayuki, Prefazione al Kokinwakashū

La giovane donna esce dalla penombra, legge questi versi mirabili, prende il cellulare e inquadra il muro su cui sono trascritti, ingenua, pronta a fotografarli, forse per portarli con sé fuori da lì, forse per conservarli nel cuore, forse per ricordarsene quando il rapporto con il suo uomo le sarebbe sembrato poco armonioso. Sicuramente non per farne un commercio su scala planetaria guadagnando milioni di euro. Il guerriero feroce evidentemente non li ha letti e la raggiunge minaccioso, intimandole di non provare a fotografarli. Lei risponde impaurita Ma... vorrei fotografare la poesia, come una detenuta che viene sorpresa dalle guardie e teme le conseguenze in quell'ambiente coatto. Lui massiccio aggiunge No! La poesia non si può fotografare! Lei si arrende come animale abbattuto e scompare silenziosa come era arrivata. Ma la poesia resta lì, potente, attaccata a quel fottutissimo muro di quel fottutissimo palazzo reale di Milano dove per entrare in due a vedere una mostra senza fare la fila occorrono 28 euro, e dove il catalogo con tutte le opere fedelmente riprodotte (e immagino anche la poesia) ne costa 39. Ma tu dentro non puoi fotografare nemmeno una poesia e, caso unico sul pianeta credo, devi addirittura spegnere il cellulare, sicura violazione della Costituzione, della carta dei diritti dell'uomo, del mio contratto col gestore telefonico e della mia volontà di tenere acceso il mio telefono dove accidenti voglio, se non do fastidio agli altri convenuti. E io sono adulto e so come si fa a non dare fastidio in una mostra.
Tutta questa assurda scena si svolge all'interno di una dolcissima mostra dedicata a un popolo e a tre sui grandi artisti che hanno fatto della poesia una ragione di vita e un motivo ispiratore che è andato ben oltre la loro tomba, se è vero, come è vero, che stiamo ancora lì a cercare di infrangere una regola irregolare per rubare dei versi che fanno bene allo spirito. 
Ma di cosa hanno paura? Perché ci fanno spegnere il cellulare nella mostra di Hokusai & Co. al palazzo reale di Milano? Perché col cellulare puoi fare le foto. E allora? Le foto delle collezioni private non si possono fare, almeno così sono soliti imporre i proprietari agli organizzatori. E perché le foto delle collezioni private non si possono fare? Ma semplice, perché i proprietari delle opere detengono i diritti in esclusiva della riproduzione delle opere stesse e li vendono e ricavano dei soldi: una classica rendita di posizione. E allora perchè fuori dalla porta vendono il catalogo, le cartoline, i quadernetti, le matite e forse anche la carta igienica con le foto di tutte quelle opere perfettamente riprodotte, mille volte meglio che col tuo fottutissimo cellulare? Perché altri signori, vendendo quella merce di accompagnamento ormai obbligatoria, devono cercare di riportare a casa i soldi del noleggio della mostra e dell'organizzazione. 
In tutto questo paradosso noi non possiamo fare nemmeno una pessima e innocente fotina col cellulare, una foto che non potremmo mai vendere a nessuno sia per la qualità non adeguata sia per la mancanza del diritto legale a farlo. Ma noi la foto la vorremmo solo per ricordare un particolare di un capolavoro che ci ha commosso oppure per spedire una poesia al nostro amore, senza spendere altri 39 euro per il catalogo. Basta con questa ipocrisia: la mostra veniamo a vederla o non veniamo, il catalogo e la carta igienica li compriamo o non li compriamo indipendentemente dal permesso di fotografare le bellissime tartarughe blu che volano nell'acqua o le nuvole a bastoncino di Hokusai che volano insieme a migliaia di pagine di foglie che la poesia giapponese continua a regalarci. 
Per scattare delle foto davvero vendibili e danneggiare economicamente i detentori dei diritti dovremmo venire lì dentro con attrezzature super-professionali e dedicare ore e ore ad un lavoro di riproduzione che, tra l'altro, non andrebbe nemmeno lontanamente immaginato in una sede espositiva. Insomma, lasciateci godere delle opere di artisti che hanno sentito il battito delle foglie e hanno diffuso la loro opera stampando multipli e multipli delle loro carte fino allo sfibrarsi della matrice di legno, con animo che mi piace immaginare generoso, sensibile, libero. 

Nessun commento: